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Nov 08, 2016 Marco Schiaffino Attacchi, In evidenza, News, RSS, Vulnerabilità 0
Usare automobili e droni come moderni untori per spargere un worm in grado di infettare i dispositivi della “Internet of Things” può sembra un’idea bizzarra. Lo scenario dipinto dal gruppo di ricercatori che ha immaginato questo tipo di attacco, però, è tutt’altro che banale.
I dispositivi IoT rappresentano oggi una grande preoccupazione per gli esperti di sicurezza. Si sono dimostrati terribilmente vulnerabili agli attacchi in remoto e la loro diffusione, secondo tutti gli studi di mercato, è destinata ad aumentare.
Fino a oggi, tuttavia, i dispositivi della IoT sono stati compromessi dai pirati solo per portare attacchi DDoS. Certo: hanno creato grossi problemi alle infrastrutture Internet di mezzo mondo, ma a ben guardare le cose potrebbero andare molto peggio.
L’idea alla base dello studio è che le vulnerabilità dei dispositivi IoT vengano sfruttate non tanto in funzione della loro possibilità di comunicare in rete, quanto in funzione delle loro specificità. E ancora: utilizzando un sistema di infezione localizzato che permetta di concentrare l’attacco in un’area specifica.
A finire nel mirino è il sistema di aggiornamento “On The Airt” (OTA) messo a punto dalla ZigBee alliance. Nel dettaglio, l’attacco permette di modificare il firmware dei dispositivi, modificandone il funzionamento a piacere.
I ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sulle “lampadine intelligenti”, ma lo stesso principio è applicabile anche ad altri dispositivi simili. Nei video dimostrativi pubblicati su Youtube, viene mostrata l’efficacia dell’attacco.
Il fatto che la tecnica di attacco permetta di colpire un’area geografica ben precisa è uno degli elementi più preoccupanti. Il worm, infatti, si diffonde da un dispositivo all’altro, in una sorta di “reazione a catena” terribilmente efficace.
Di più: si tratta di una compromissione permanente. Una volta violato il dispositivo, infatti, impedisce qualsiasi tentativo di modificare il firmware tramite un collegamento wireless. L’unica soluzione per rendere “inoffensivi” i dispositivi hackerati è quello di rimuoverli fisicamente.
Considerato che in una città come Parigi già oggi ci sono almeno 15.000 “lampadine intelligenti” vulnerabili all’attacco (e che il loro numero è destinato ad aumentare esponenzialmente nel futuro prossimo) è lecito pensare che un’infezione di questo tipo possa provocare grossi problemi.
Gli atti di sabotaggio prospettati nello studio sono i più vari (e a volte anche improbabili) che si possano immaginare: dall’idea di far lampeggiare le lampadine per causare attacchi epilettici alle persone che si trovano nelle vicinanze all’attacco delle reti elettriche con l’obiettivo di provocare un black out.
Tra le varie ipotesi, una è però decisamente insidiosa. Secondo i ricercatori, infatti, i dispositivi potrebbero essere usati per disturbare la trasmissione di segnali sui 2,4 GHz, mettendo K.O tutti i sistemi di comunicazione (a partire dalle reti Wi-Fi) che vi operano.
Insomma: se oggi ci stiamo preoccupando di aver disseminato “zombie” in grado di poter abbattere un sito Web con estrema facilità, domani potremmo renderci conto di aver messo intere città nelle condizioni di poter essere mandate in “tilt” da un semplice worm.
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