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Giu 06, 2018 Marco Schiaffino Gestione dati, In evidenza, Leaks, News, RSS 1
Questa volta il social network di Mark Zuckerberg rischia grosso. Lo scandalo che si è abbattuto su Facebook, infatti, non rischia solo di provocare reazioni da parte degli utenti, già irritati dalla vicenda Cambridge Analytica, ma potrebbe avere conseguenze più ampie legate a possibili reazioni dell’amministrazione USA.
L’inchiesta del New York Times, che in questi giorni ha acceso i riflettori sulla pratica di Facebook di condividere i dati degli utenti con decine di produttori di dispositivi informatici, ha infatti toccato uno dei tasti più delicati di questi mesi: la trasmissione di informazioni ad aziende cinesi che l’intelligence statunitense ha bollato come “pericolose per la sicurezza nazionale”.
Tutto parte (tanto per cambiare) dalla vicenda Cambridge Analytica, cioè dall’uso “improprio” che l’azienda ha fatto dei dati raccolti su Facebook per promuovere Donald Trump nel corso delle elezioni presidenziali del 2016.
Uno degli aspetti emersi dall’inchiesta sulla vicenda riguardava le modalità di raccolta dei dati. Questi erano stati registrati attraverso un’app sviluppata da Aleksandr Kogan, un docente di psicologia dell’università di Cambridge, che aveva poi venduto i dati a Cambridge Analytica violando le policy di Facebook.
L’aspetto più importante, però, è che la raccolta era stata possibile grazie a un meccanismo “a cascata” per cui l’amministratore dell’app era in grado di raccogliere informazioni non solo sugli utenti che l’avevano installata, ma anche sui loro amici.
Un sistema che in pratica consentiva di rastrellare dati dal social network con una facilità impressionante e che Facebook, stando alle parole di Zuckerberg, avrebbe bloccato nel 2015 proprio dopo essere venuta a conoscenza dell’uso “improprio” dei dati fatta da Kogan.
Il fatto che ogni account sia “connesso” con gli altri ha consentito per anni di raccogliere informazioni a tappeto anche quando un’app era stata installata da un numero relativamente esiguo di iscritti al social network.
La prima puntata dell’inchiesta del New York Times (pubblicata domenica scorsa) è partita proprio da qui. I giornalisti del quotidiano statunitense, infatti, hanno scoperto che la dichiarazione di Zuckerberg era parzialmente falsa o, per lo meno, ambigua.
Se è vero che Facebook ha bloccato il sistema di raccolta dati per quelle che definisce “terze parti” (sembra di capire gli sviluppatori di app) non lo ha fatto per altri partner che il social network considera avere uno status differente. In particolare, i produttori di dispositivi mobili con cui Facebook collabora.
Stando all’articolo del NYT, si tratterebbe di almeno 60 aziende (da Blackberry ad Apple, passando per Amazon e Samsung) che possono accedere a una quantità impressionante di informazioni sugli iscritti di Facebook.
Ieri, però, è arrivata la seconda puntata dell’inchiesta e questa volta le luci sono puntate specificatamente su quattro produttori che avrebbero avuto accesso a questi dati: Huawei, Lenovo, Oppo e TCL. Si tratta di produttori cinesi, contro cui l’amministrazione USA ha avviato da tempo una campagna di “isolamento” simile a per certi versi a quella portata avanti nei confronti di Kaspersky.
Nel dettaglio, l’intelligence statunitense ha praticamente bandito i dispositivi prodotti dalle quattro aziende dagli uffici federali, operando pressioni per limitare la diffusione dei loro device su tutto il territorio statunitense.
Pressioni che, come abbiamo visto in passato, riescono a essere molto efficaci e che lo scorso gennaio sarebbero state all’origine della decisione del colosso delle telecomunicazioni AT&T di rinunciare a mettere sul mercato un nuovo modello di smartphone di Huawei.
Ora è probabile che la vicenda dia il via a nuove polemiche simili a quelle legate a Cambridge Analytica, che hanno già portato all’audizione di Zuckerberg avanti il Congresso USA. Solo che questa volta le domande potrebbero essere un po’ più scomode.
I primi commenti da parte dei politici statunitensi si focalizzano infatti sul fatto che Facebook avrebbe permesso, in buona sostanza, di far migrare i dati di milioni di cittadini statunitensi sui server cinesi.
E con il clima che si respira tra le due super-potenze economiche, ormai sull’orlo di una vera guerra commerciale, le ripercussioni a livello di immagine (ma anche a livello economico) per l’azienda di Zuckerberg potrebbero essere pesantissime. Mentre scriviamo, per esempio, il titolo in borsa sta già subendo contraccolpi.
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One thought on “Bufera su Facebook. Dati condivisi con produttori cinesi di smartphone”