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Ott 25, 2016 Marco Schiaffino News, RSS, Tecnologia, Vulnerabilità 0
Dopo il terremoto provocato dall’attacco che venerdì ha messo in crisi molti siti nella east coast, arrivano le prime reazioni da parte dei produttori di dispositivi IoT coinvolti nella gigantesca botnet Mirai, usata per “stendere” le infrastrutture DNS di Dyn.
Stando a quanto riporta Reuters, il primo a preoccuparsi di ritirare i prodotti vulnerabili a Mirai è la cinese XiongMai, che avrebbe annunciato un programma di richiamo di alcuni prodotti messi in vendita negli USA.
I prodotti di XiongMai (principalmente telecamere e DVR) sarebbero stati compromessi utilizzando le credenziali di accesso di default (username: root, password: xc3511) che avrebbero consentito ai pirati di prenderne il controllo on estrema facilità.
Nel comunicato, disponibile solo in lingua cinese, XiongMai (XM) cerca di ridurre le responsabilità dell’azienda, scaricandole sostanzialmente sugli utenti (sigh) che non avrebbero modificato le credenziali di accesso predefinite.
Nel testo, però, annuncia anche che starebbe implementando misure per migliorare la sicurezza dei dispositivi in produzione e avviando una campagna di aggiornamento software rivolta ai suoi clienti.
Il problema, come fanno notare molti, è che la diffusione dei suoi prodotti va ben al di là di quelli commercializzati direttamente col brand XiongMai. La maggior parte dei suoi prodotti, infatti, sono utilizzati da altri assemblatori, che utilizzano le telecamere e i DVR di marca cinese all’interno dei loro dispositivi.
Come se non bastasse, il comunicato è “abbinato” a una seconda comunicazione molto meno accomodante, a firma della società stessa e del Ministero della Giustizia cinese.
Dal documento si desume che dalle parti di Pechino non abbiano gradito la mole di critiche piovute sul produttore, accusato di aver messo in commercio prodotti vulnerabili agli attacchi hacker.
L’azienda e il ministero si riserverebbero, quindi, di avviare azioni legali contro chiunque dovesse diffondere false informazioni o mettere in dubbio la loro buona volontà.
Insomma: il percorso verso una reale collaborazione per risolvere il problema Mirai sembra ancora lungo e gli interessi commerciali in gioco rischiano di renderlo ancora più tortuoso.
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