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Nov 11, 2022 Dario Orlandi Mercato, Minacce, News, Scenario 0
Eset ha pubblicato il 2022 SMB Digital Security Sentiment Report, un’indagine che raccoglie le risposte di oltre 1.200 responsabili della sicurezza di piccole e medie imprese in Europa e Nord America; le interviste vertevano sullo stato della sicurezza informatica e sulla percezione dei rischi connessi.
Il primo dato che emerge è sicuramente preoccupante: secondo il report, infatti, due terzi delle Pmi ha subito almeno un incidente collegato alla sicurezza dei dati, con un danno medio di 220.000 euro. Il quadro è piuttosto fosco e contribuisce a spiegare una serie di risposte piuttosto negative.
La principale preoccupazione relativa alle ripercussioni di un attacco informatico riguarda i rischi di perdere o vedere compromessi i propri dati (29%); ciononostante, o forse proprio per questo motivo, il 70% dei responsabili di sicurezza delle aziende ritiene che gli investimenti nella sicurezza non siano stati aggiornati per riflettere i cambiamenti recenti nelle modalità di lavoro, come l’accesso remoto e il lavoro ibrido.
Secondo l’83% degli intervistati “la guerra informatica è una minaccia molto reale che può avere un impatto su tutti”. Le Pmi si sentono poco attrezzate per combattere questa battaglia: il 74% degli intervistati ritiene che le piccole aziende siano più vulnerabili agli attacchi informatici rispetto alle aziende di livello enterprise.
Da tutti questi dati è facile intuire come la fiducia complessiva nella resilienza per i prossimi 12 mesi rimanga piuttosto bassa: solo il 48% degli intervistati dichiara di essere moderatamente o molto fiducioso. Particolarmente pessimisti – o realisti – sono risultati gli intervistati scandinavi (32%).
Tra i fattori di rischio si segnalano preoccupazioni vecchie e nuove: la risposta più frequente è un grande classico, la mancanza di consapevolezza informatica dei propri dipendenti (43%). Altri elementi sono invece più legati all’attualità, come gli attacchi da parte di Stati nazionali (37%), le vulnerabilità nella supply chain (34%) e il lavoro ibrido (32%) o l’uso di strumenti di Remote Desktop (31%).
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