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Ago 26, 2020 Marco Schiaffino Gestione dati, Hacking, In evidenza, News, Scenario, Tecnologia, Vulnerabilità 0
Il dialogo tra software e piattaforme attraverso l’utilizzo di API specifiche permette di rendere molto più facile la vita degli amministratori IT nella gestione dei servizi. Esiste però un “lato oscuro” di questa modalità di gestione e, ancora una volta, riguarda la sicurezza.
A spiegarlo, in un post sul blog ufficiale di Kaspersky, è il ricercatore Jason Kent, che mette a fuoco come l’utilizzo intensivo di API nei sistemi aziendali rappresenti il vero anello debole a livello di cyber security. Utilizzando un semplice proxy è infatti possibile intercettare le comunicazioni delle API e ottenere in questo modo tutti i dati che vengono scambiati durante il suo utilizzo.
Il problema, spiega Kent, è che quando viene creata un’API spesso non vengono considerati alcuni aspetti relativi alla sicurezza. Il ricercatore, nel suo post, spiega che uno dei problemi più comuni è quello legato al fatto che i componenti inviano troppe informazioni.
L’esempio riportato è quello di un tentativo di login fallito: se la risposta all’inserimento delle credenziali è troppo dettagliata (per esempio indicando quale tra username e password non corrisponde) un eventuale pirata può trarne un vantaggio fondamentale.
Allo stesso modo, molte delle comunicazioni contengono informazioni tecniche che non sono di nessuna utilità per l’utente medio e che rappresentano invece una risorsa per chi sta tentando di attaccare i sistemi.
Secondo Kent, nella creazione delle API bisognerebbe quindi fornire solo le informazioni strettamente necessarie e utilizzare strumenti e procedure che consentano di offuscare le comunicazioni per rendere più difficile l’analisi dei dati trasmessi.
Più in generale, il ricercatore rileva come la logica della “security by design” stenti ancora ad affermarsi in questo settore, in cui gli sviluppatori sembrano essere più preoccupati di garantire la qualità dell’esperienza utente che la sicurezza dei sistemi.
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