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Lug 24, 2020 Marco Schiaffino In evidenza, Malware, News, RSS, Scenario, Vulnerabilità 0
Abbiamo qualche speranza di vincere la battaglia contro il cyber crimine? A guardare la cronaca recente, sembrerebbe proprio di no.
Tra le news della giornata, infatti, spicca una campagna di attacchi che punta a installare strumenti di cryptojacking sui sistemi Windows. L’exploit usato? Tenetevi forte: è EternalBlue.
La vulnerabilità, che prende di mira il Server Message Block, è emersa nel 2017 e Microsoft ha distribuito aggiornamenti mirati (anche per i sistemi operativi non più supportati) per bloccarla. Niente da fare: la sciatteria nella gestione degli aggiornamenti è evidentemente ben superiore a qualsiasi sforzo che la community della cyber security possa mettere in campo.
Il risultato è che, a tre anni distanza, ci ritroviamo con un malware in grado di sfruttare l’exploit per installare un miner che sfrutta la potenza di calcolo delle macchine infette per generare Monero.
La botnet in questione, battezzata con il nome di Prometei, utilizza in realtà un malware estremamente complesso, che secondo i ricercatori del gruppo Talos di Cisco sfrutta anche tecniche di brute forcing sui sistemi remote desktop per ottenere accesso ai sistemi.
Si tratterebbe, come si legge nel report pubblicato dal team di analisti, di un malware modulare che i pirati stanno utilizzando dallo scorso marzo, ma che sarebbe riuscito a “volare sotto i radar” fino a oggi.
I ricercatori, inoltre, sottolineano come il malware sia distribuito su due “filoni”: uno rivolto al mining di cripto-valuta, l’altro specializzato nell’infiltrazione dei sistemi attraverso tecniche di diffusione che sfruttano, tra le altre cose, una versione modificata di Mimikatz. Secondo gli esperti di Talos, però, non c’è dubbio che il tutto sia gestito dallo stesso soggetto.
Oltre a sfruttare la potenza di calcolo delle macchine compromesse per generare MOnero, Prometei sarebbe però in grado di agire come una backdoor, consentendo al suo autore di sottrarre informazioni dalle macchine compromesse e inviarle a un server Command and Control sfruttando sistemi di comunicazione offuscati attraverso l’uso del circuito Tor.
Insomma: il quadro è quello di un malware estremamente evoluto che si avvantaggia, a tre anni di distanza, di una vulnerabilità conosciuta e per la quale esistono patch e aggiornamenti.
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