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Mag 08, 2019 Marco Schiaffino Attacchi, In evidenza, Malware, News, RSS, Scenario 0
I reali contorni della vicenda del leak che ha coinvolto i tool di hacking usati dall’Equation Group, il cyber-team della National Security Agency, sono ancora avvolta nel mistero. Come ricorderanno i lettori di Security Info, il cyber-arsenale dell’NSA è stato reso pubblico da uno sconosciuto (fino ad allora) gruppo hacker chiamato Shadow Brokers nell’aprile del 2018.
La notizia di oggi è che qualcuno sembra aver utilizzato quegli strumenti ben un anno prima del clamoroso leak che ha svelato al mondo le tecniche di hacking degli 007 statunitensi. Quel qualcuno, secondo i ricercatori di Symantec, sarebbe un gruppo di pirati informatici collegati al governo cinese.
La prova sarebbe in un attacco portato da un gruppo battezzato dai ricercatori con il nome di Buckeye, che avrebbe utilizzato alcuni strumenti dell’Equation Group per colpire dei “bersagli di alto profilo” molto prima che i tool in questione fossero resi pubblici dagli Shadow Brokers.
Nel dettaglio, il gruppo cinese avrebbe utilizzato Double Pulsar, una backdoor di cui si è venuti a conoscenza proprio in occasione del celebre leak.
Non solo. Per installare la backdoor, il gruppo di cyber-spioni avrebbe utilizzato un trojan chiamato Bemstour, che sfruttava due exploit zero-day per Windows che abbiamo imparato a conoscere con i nomi di EternalRomance ed EternalSynergy, anche loro parte dell’arsenale informatico dell’NSA.
Buckeye, però, avrebbe utilizzato questi strumenti a partire dal marzo del 2016, cioè un anno prima della pubblicazione a opera degli Shadow Brokers.
Secondo i ricercatori di Symantec, gli strumenti utilizzati dal gruppo Buckeye sarebbero delle varianti dei tool originali sviluppati dall’Equation Group, ma non ci sono dubbi sul fatto che siano basati sullo stesso codice.
Rimane da capire come gli hacker cinesi ne siano venuti in possesso. Le ipotesi principali sono due: la prima è che abbiano rubato il codice in qualche modo, magari grazie alla complicità di un contractor “infedele”.
La seconda ipotesi è che abbiano avuto la possibilità di studiarlo dopo aver subito a loro volta un attacco che sfruttava questi strumenti.
In ogni caso, tutta la vicenda dimostra ancora una volta quanto la cyber warfare possa facilmente “sfuggire di mano” e trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Chissà se all’NSA, a questo punto, se ne sono resi conto.
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