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Apr 10, 2018 Marco Schiaffino In evidenza, News, Privacy, RSS, Tecnologia 1
Anche se l’idea di assicurarsi una privacy assoluta su Internet somiglia terribilmente a una chimera, chi naviga sul Web può utilizzare una serie di strumenti che consentono per lo meno di arginare l’invasività degli strumenti di tracking e profilazione.
Quello su cui sembra proprio ci sia poco da fare è il traffico diretto ai server DNS, che può essere sfruttato in vari modi per ricostruire l’attività su Internet di chiunque. Dalle parti di Princeton, però, hanno pensato a un metodo per “blindare” le comunicazioni anche a questo livello. Lo hanno battezzato con il nome di Oblivious DNS (ODNS) o “DNS inconsapevole”.
I problemi legati alle comunicazioni da e verso i server DNS riguardano varie ipotesi: prima di tutto quella in cui qualcuno riesca a intercettare e analizzare le richieste verso i DNS. In secondo luogo quella legata al fatto che, anche se la connessione non viene intercettata, i dati sono comunque accessibili a chi gestisce i server e, di conseguenza, possono anche essere ottenuti da soggetti più o meno legittimati (si pensi agli enti di governi autoritari) attraverso strumenti legali.
Il problema è che alcune informazioni (indirizzo IP e richiesta) sono necessarie per il funzionamento e anche le modalità di comunicazione protette (come TLS) consentono di risalire agli indirizzi visitati da uno specifico utente. Cambiare questo aspetto è piuttosto difficile, per lo meno senza stravolgere l’architettura della Rete.
I ricercatori della Princeton hanno però trovato un metodo (qui il documento originale) che potrebbe assicurare l’anonimato delle richieste senza “terremotare” le infrastrutture attuali. Il tutto sfrutta (manco a dirlo) la crittografia e alcuni dispositivi che si aggiungerebbero alla struttura esistente.
L’idea è quella di inserire uno Stub Server (tra il client e il Resolver) e un ODNS Autoritativo tra il Resolver e i server DNS di livello superiore. Lo Stub Server ha la funzione di elaborare la richiesta DNS crittografandola con la chiave pubblica dell’ODNS Autoritativo e una chiave di sessione, “appendendo” inoltre il suffisso .odns alla query.
Lo schema spiega meglio il funzionamento del metodo messo a punto dai ricercatori della Princeton.
In questo modo il Resolver saprebbe di dover inviare la richiesta all’ODNS Autoritativo e al suo interno non rimarrebbero informazioni sulla richiesta stessa, che è crittografata.
L’ODNS Autoritativo, una volta ricevuta la query, la decodifica e la invia ai server DNS di livello superiore per poi indirizzare la risposta (anche questa crittografata) al Resolver che la recapita al Client originale.
Il sistema, in buona sostanza, permetterebbe di mantenere separate due informazioni: la query (che verrebbe registrata solo dal Server ODNS Autoritativo, che però non sa chi abbia fatto la richiesta) e l’identità del Client, che verrebbe registrata solo dal Resolver senza però alcuna informazione sulla query.
Qualche dubbio sulla possibile implementazione del sistema riguarda le prestazioni, che sono ancora oggetto di studio da parte del gruppo di ricercatori. Il progetto, però, sembra decisamente promettente.
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