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Dic 18, 2017 Marco Schiaffino Attacchi, Hacking, In evidenza, Malware, News, RSS 0
Hanno seminato il panico su Internet per mesi, ma alla fine sono stati individuati e arrestati. Dalton Norman, Paras Jha e Josiah White, tutti ventenni, sono stati considerati responsabili della creazione e diffusione di Mirai.
Il worm, che a partire dall’autunno 2016 ha fatto strage di dispositivi IoT, ha permesso ai suoi autori di reclutare migliaia di device in una botnet cresciuta a dismisura in una manciata di settimane, utilizzata per portare attacchi DDoS senza precedenti.
Come abbiamo ampiamente spiegato a suo tempo, il worm sfrutta una serie di vulnerabilità dei dispositivi della cosiddetta “Internet of Things” e (soprattutto) una serie di credenziali predefinite che consentono di accedere in remoto ai sistemi di controllo dei device.
Al di là degli aspetti tecnici, l’arresto e la condanna dei tre giovani pirati informatici permette ora di chiarire anche il movente. Se in un primo momento si pensava che gli autori di Mirai utilizzassero la botnet come strumento per portare attacchi DDoS su commissione, nel corso del processo si è scoperto che le motivazioni dei tre erano più articolati e, a guardar bene, anche piuttosto surreali.
Due di loro (Jha e White) sono infatti i fondatori di ProTraf Solutions LLC, una società specializzata nella mitigazione di attacchi DDoS su larga scala. La loro strategia, oltre all’affitto a terzi, comprendeva anche l’estorsione, sia chiedendo direttamente denaro per terminare gli attacchi, sia contattando le vittime offrendo strumenti di protezione he avrebbero dovuto difenderli da… loro stessi.
Stando alla ricostruzione dell’accusa, i tre hanno poi cambiato il loro “modello di business” utilizzando la botnet per incassare denaro attraverso la più classica delle frodi su Internet: i falsi click sugli annunci pubblicitari che, in questo caso, erano fatti dalle migliaia di videocamere e dispositivi “smart” arruolati nella botnet.
Ed è qui che hanno fatto il vero botto: secondo gli atti lo schema avrebbe permesso di incamerare la bellezza di 200 Bitcoin, che al cambio attuale corrispondono a circa 3,2 milioni di euro.
La loro responsabilità, però, va oltre la truffa e l’estorsione. AI primi di ottobre, infatti, i tre hanno pubblicato su Internet il codice sorgente del worm, contribuendo alla sua diffusione capillare e alla nascita di nuove botnet.
Il motivo? Secondo quanto si legge nella confessione di Paras Jha, la mossa aveva lo scopo di creare le condizioni per poter negare di aver creato in prima persona il malware e poter così evitare accuse più pesanti nel caso in cui fossero stati individuati.
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