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Ott 21, 2016 Marco Schiaffino News, RSS, Tecnologia 0
I politici del terzo millennio sembrano ormai ossessionati dai social network, al punto da usare metodi discutibili per gonfiare il volume dei messaggi in favore del candidato di riferimento.
La dimostrazione arriva da una ricerca effettuata in occasione del primo dibattito televisivo tra i due candidati alle elezioni presidenziali USA.
Stando a quanto riportano i ricercatori, provenienti da diverse università statunitensi e raccolti intorno al progetto politicalbots.org, buona parte dei messaggi in favore del candidato repubblicano sarebbero stati postati da software automatizzati.
Lo studio ha preso in considerazione 4,5 milioni di tweet postati tra il 26 settembre (giorno del dibattito) e il 29 settembre.
Il grafico mostra il traffico orario su Twitter nel corso del periodo considerato. I bot sono rappresentati dalla linea verde.
Nel dettaglio, i tweet “sospetti” in favore di Donald Trump sarebbero il 32.7% degli 1,7 milioni di messaggi che contenevano un hashtag dichiaratamente favorevole al miliardario.
Non che Hillary Clinton sia immacolata: la ricerca quantifica i messaggi inviati da bot in favore della candidata democratica al 22.3% del totale. Se si passa dalle percentuali ai termini numerici, però, la differenza è siderale.
Fatti i conti, infatti, i tweet automatici per Trump sarebbero quasi 600.000, contro i poco più di 100.000 inviati da bot in favore della sua avversaria.
L’analisi ha utilizzato diversi parametri per individuare gli account “ad alta automazione” (presumibilmente gestiti da bot) tra cui la mappatura della loro attività e la tipologia dei messaggi.
È bene notare che la semplice presenza dei social-bot, come fanno notare i ricercatori, non è necessariamente sintomo di un uso fraudolento del social media.
In molti casi, infatti, gli account automatizzati vengono usati per scopi del tutto legittimi, come il rilancio di comunicati stampa e notizie di agenzia.
Una categoria, però, che nello studio è probabile sia andata a comporre il dato (11.4%) riguardante quegli 1,6 milioni di tweet contrassegnati con hashtag “neutrali”. Sulla provenienza dei messaggi “schierati”, invece, ci sono davvero pochi dubbi.
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