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Mag 06, 2017 Marco Schiaffino News, RSS, Vulnerabilità 0
Chi si diletta nell’utilizzo di un drone, fino a oggi, ha dovuto preoccuparsi più che altro delle severe norme che regolano l’utilizzo negli spazi pubblici. Da oggi, però, gli appassionati dovranno tenere in considerazione anche la possibilità che il loro “giocattolo” possa finire vittima di un attacco informatico.
A lanciare l’allarme è il CERT statunitense, che in un avviso segnala una vulnerabilità relativa al quadricottero DBPOWER U818A. Lo stesso problema, però, sarebbe presente su altri modelli di drone prodotti dalla stessa azienda ma venduti con altri nomi.
La falla di sicurezza consente di collegarsi via Wi-Fi a un server FTP incorporato nel dispositivo e scaricare o eseguire l’upload di file senza che sia necessaria alcuna autenticazione.
Questo significa, in pratica, che chiunque si trovi a portata di Wi-Fi può scaricare tranquillamente tutti i video e le foto registrate dal drone, ma anche sostituire i file di sistema e, di conseguenza, prenderne il controllo.
I problemi di sicurezza relativi a questo tipo di dispositivi non sono una novità: come spiegano i ricercatori di Kaspersky, lo US-CERT aveva già segnalato vulnerabilità di questo genere nello scorso febbraio e la ricercatrice Junia Valente aveva sottolineato in una ricerca tutte le criticità legate alle scarse misure di sicurezza implementate nei droni commerciali.
Secondo Valente, il vero problema è che il collegamento al drone è libero e, di conseguenza, chiunque può accedervi e interferire con il suo funzionamento, come mostra un video pubblicato su YouTube.
A peggiorare la situazione c’è il fatto che la vulnerabilità sembra riguardare un gran numero di prodotti attualmente in vendita. Le indagini di Junia Valente, infatti, hanno chiarito che buona parte dei prodotti in circolazione sono, in realtà, prodotti da un’unica azienda: la cinese Udi RC Toys Co. Ltd.
Secondo Valente, tuti i prodotti della società cinese, che vengono acquistati, ri-marchiati e messi in commercio da vari distributori, utilizzano lo stesso sistema di controllo e hanno le stesse identiche vulnerabilità.
La ricercatrice, nel corso delle sue indagini, avrebbe individuato almeno 13 app che utilizzano le stesse porte e le stesse sequenze di pacchetti per gestire i droni, cioè 13 app che hanno presumibilmente la stessa vulnerabilità.
Valente ne ha fatto una stima approssimativa controllando i dati di download delle app su piattaforma Android, che ammonterebbero ad almeno 200.000. Insomma: un esercito di “elicotterini” pronti a finire nelle mani dell’hacker di turno.
Ma con quali conseguenze? Se le ipotesi più fantasiose sono quelle relative a un possibile uso a scopo terroristico, quelle più realistiche sono legate alla cronaca recente di abusi legati alla compromissione di dispositivi IoT, ovvero la possibilità che i droni, al pari di telecamere di sorveglianza e dispositivi vari, vadano a ingrossare le botnet dedicate agli attacchi DDoS.
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