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Nov 26, 2020 Marco Schiaffino In evidenza, News, Privacy, RSS, Scenario, Tecnologia 0
Come tenere insieme pubblicità online e diritto alla privacy degli utenti? A chiederselo non è un’associazione di consumatori ma Google, una delle aziende che (in diversi ruoli) ha proprio i suoi maggiori interessi nella gestione delle informazioni raccolte sul Web e il loro utilizzo a scopi pubblicitari.
La soluzione, secondo quanto dicono dalle parti di Mountain View, passerebbe per una piccola (ma neanche tanto) rivoluzione che ha un nome piuttosto evocativo: Privacy Sandbox. A illustrarlo in un incontro (virtuale) con la stampa è stato Nicola Roviaro Head of EMEA Data Privacy Specialist dell’azienda statunitense.
Il punto di partenza del ragionamento è semplice: aumentare la tutela della riservatezza dei dati personali senza mettere in discussione l’attuale modello di funzionamento del Web, che di quei dati personali ha un tremendo bisogno.
A prima vista sembra di trovarsi di fronte alla classica sfida di salvare capra e cavoli, ma secondo Roviaro la soluzione potrebbe essere più semplice di quanto non sembri, almeno a livello concettuale.
I principi alla base del progetto Privacy Sandbox (se ne trova un riassunto in questa pagina Web) prevedono, in pratica, di eliminare tutti quegli aspetti della raccolta di informazioni che a oggi sono fonte di possibili abusi e, in particolare, dei famigerati cookie di terze parti utilizzati spesso per il tracciamento della navigazione su Internet.
Ma con cosa verrebbero sostituiti? Qui il tutto si fa un po’ più fumoso, ma stando a quanto si è capito del progetto di Google, l’idea sarebbe quella di utilizzare sistemi di intelligenza artificiale che consentano di profilare gli utenti sulla base dei loro interessi e delle loro abitudini direttamente… attraverso il browser.
Insomma: al posto di inondare di cookie gli utilizzatori, questi verrebbero “studiati” direttamente da algoritmi integrati nei software per la navigazione su Internet (o nei dispositivi) e questi dati verrebbero poi utilizzati per far “girare” il grande circo della pubblicità programmatica.
Secondo gli esperti di Google, questo permetterebbe di mantenere intatto il sistema che prevede la visualizzazione di pubblicità “mirate” e, al tempo stesso, ridurre la quantità di informazioni necessarie allo scopo, così come il numero di soggetti che vi accedono.
Il tutto, nei progetti di Google, dovrebbe essere portato avanti in maniera aperta e partecipativa, coinvolgendo tutti i soggetti interessati (a partire dagli sviluppatori di browser) nell’ambito del World Wide Web Consortium (W3C) per arrivare alla definizione di uno standard internazionale.
Insomma: un percorso molto trasparente che a ben vedere, però, potrebbe generare qualche problemino. Il primo è capire quanto possano essere felici tutti gli attori del mondo del Web advertisement di scompaginare il meccanismo attuale, affidandolo a un numero ridotto di soggetti (sviluppatori di browser e di sistemi operativi?) che a questo punto governerebbero buona parte del flusso delle informazioni.
A voler essere maligni, poi, si potrebbe pensare che il progetto somigli un po’ troppo a un tentativo di spostare il baricentro del controllo in un settore in cui Google, con l’abbinata tra Chrome e Android) ha una indiscussa posizione dominante.
E il termine “posizione dominante” apre un’altra questione: come la prenderanno le varie autorità antitrust in Europa e negli USA?
E infine, che cosa impedirebbe a un qualche maniaco della privacy di proporre un browser (o un sistema operativo) privo di questi meccanismi facendo così saltare il banco?
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