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Dic 19, 2018 Marco Schiaffino In evidenza, Mercato, News, Prodotto, RSS, Scenario 1
Prima il bando dagli Stati Uniti, poi l’invito agli alleati (Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda hanno già obbedito) e infine la clamorosa mossa dell’arresto della responsabile finanziaria Meng Wanzhou.
Tra l’amministrazione Trump e la cinese Huawei è ormai uno scontro senza esclusione di colpi, con gli USA che accusano l’azienda cinese delle telecomunicazioni (Huawei produce smartphone ma anche infrastrutture) e Pechino che derubrica il tutto a un capitolo della guerra commerciale avviata dagli Stati Uniti nei confronti del colosso asiatico.
Ma come reagiscono gli altri governi e in particolare quelli europei? A quanto pare, con un certo scetticismo. In Germania, per esempio, il direttore del Bundesamt für Sicherheit in der Informationstechnik (BSI), l’ente che si occupa della sicurezza delle comunicazioni, ha dato un deciso colpo di freno all’introduzione di qualsiasi misura contro Huawei.
In un’intervista a Der Spiegel, il presidente della BSI Arne Schönbohm ha chiarito la posizione tedesca spiegando che per un provvedimento grave come il bando dal paese servono delle prove, che al momento non ci sono.
D’altra parte Huawei ha recentemente aperto un “laboratorio di sicurezza” a Bonn, che consente agli ispettori tedeschi di verificare il codice utilizzato da Huawei per escludere problematiche di sicurezza nei suoi prodotti.
Una mossa in chiave “trasparenza” che in questi mesi di tensioni internazionali e di continue polemiche legate alla possibilità che l’uso di prodotti stranieri apra la strada allo spionaggio di stato stanno facendo molte società del settore IT, compresa (come abbiamo raccontato in questo articolo) Kaspersky Lab.
Una situazione surreale, visto che a finire sul banco degli imputati sono sempre e solo le aziende private straniere, mentre il cosiddetto “spionaggio di stato” continua imperterrito.
Tanto più che per quanto riguarda Huawei, come ha riportato il New York Times nel 2014, ad avere la coscienza sporca sarebbero proprio gli Stati Uniti. L’operazione Shotgiant messa in atto dalla solita National Security Agency aveva infatti preso di mira proprio l’azienda cinese.
L’obiettivo ufficiale, riporta il NYT, sarebbe stato quello di verificare collegamenti tra la società e il governo di Pechino, ma gli hacker Made in USA sarebbero andati oltre, sfruttando la violazione dei server di Huawei per cercare di ottenere informazioni che gli consentissero di trovare vulnerabilità nei dispositivi del produttore cinese utilizzabili per le loro operazioni.
Insomma: tra accuse più o meno fondate (come quella relativa all’attacco nei confronti della catena alberghiera Marriott) e ripicche commerciali, il rischio è che a rimetterci sia il mercato IT e, di conseguenza, i piani di sviluppo che vari paesi stanno portando avanti per i sistemi di telecomunicazione di nuova generazione come il 5G.
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