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Dic 19, 2016 Marco Schiaffino News, Privacy, Prodotto, RSS 1
Tempo di regali natalizi e i bambini, come sempre, diventano i protagonisti assoluti. Il panorama dei regali hi-tech per i più piccoli è vastissimo e comprende, oltre ai classici videogiochi, una miriade di giochi interattivi.
Nella scelta del regalo per i nostri figli, però, oltre che dei loro desideri è bene tenere conto anche di altri fattori. Per esempio, della privacy.
I giochi di nuova generazione fanno largo uso di tecnologie evolute e non sempre i genitori che li mettono tra le mani dei loro figli hanno idea di quali possano essere le conseguenze legate al loro utilizzo.
Il caso più eclatante, esploso questo mese, è quello di Genesis Toys, un produttore che ha messo in commercio due giocattoli interattivi (il robot I-QUE e la bambola Cayla) che hanno scatenato le ire delle associazioni per la tutela della privacy.
Stando a quanto riportato da alcune ricerche, infatti, gli “amici” hi-tech non si limiterebbero a dialogare con i bambini, ma raccoglierebbero un gran numero di informazioni riguardanti i loro piccoli compagni di giochi, tra cui i loro nomi, quelli dei genitori, la scuola che frequentano, le loro preferenze in fatto di cibo, di programmi televisivi e molto altro.
A spiegare come questo possa avvenire è una ricerca di G Data, che ha puntato i riflettori sui meccanismi nascosti dietro il funzionamento di I-QUE e Cayla.
I due giocattoli sono in grado di interagire con i bambini attraverso un sistema di riconoscimento vocale che può essere configurato attraverso un’app dedicata disponibile per iOS e Android, ma il loro funzionamento è decisamente più complesso di quanto si possa pensare in un primo momento.
La dolce bambola Cayla è in grado di capire quello che dice la tua bambina. Ma la conversazione non rimane tra loro due.
Esattamente come il sistema di riconoscimento vocale usato da Siri nei dispositivi Apple, infatti, quello integrato in I-QUE e Cayla sfrutta una tecnologia cloud. Questo significa che la registrazione vocale dei bambini viene inviata a dei server negli Stati Uniti dove le parole vengono processate e interpretate.
E qui nasce il primo problema: tutte ciò che viene detto dai bambini rivolgendosi a un giocattolo nella loro stanza vengono in realtà memorizzate su un server a chilometri di distanza e sono potenzialmente esposte al rischio che qualcuno possa metterci sopra le mani.
Ma c’è di più. A gestire il processo di riconoscimento vocale, infatti, non è direttamente Genesis Toys, ma Nuance, un’azienda specializzata in programmi di riconoscimento vocale e molto conosciuta per il suo software Dragon Naturally Speaking.
Come fanno notare i ricercatori di G Data, le regole per il trattamento dei dati raccolti sono definite proprio dalle condizioni d’uso di Nuance, che prevedono tra le altre cose la possibilità che questi siano utilizzati per pubblicità e marketing.
La vicenda, a oggi, è oggetto di una denuncia e verrà risolta solo in seguito all’esame dei giudici, che dovranno esprimersi sulla liceità di simili pratiche commerciali che coinvolgono dei minori.
Al di là dell’aspetto squisitamente legale, però, il caso di Genesi Toys rappresenta un (ennesimo) campanello d’allarme riguardo alle “zone grigie” collegate all’uso delle tecnologie e, in particolare, alla tutela dei minori che le utilizzano.
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One thought on “Quando i giocattoli smart sono una minaccia per la privacy”