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Set 21, 2016 Marco Schiaffino Malware, Minacce, News, RSS, Trojan 0
A volte ritornano. E quando lo fanno portano con sé strumenti ancora più complessi ed evoluti per attaccare i sistemi informatici delle potenziali vittime.
Il processo di evoluzione dei malware è un fenomeno ben conosciuto e il loro studio, in molti casi, permette di lavorare sotto il profilo della prevenzione ancora prima che si rendano protagonisti di una nuova campagna di distribuzione.
Un allarme di questo tipo arriva da numerosi ricercatori del settore e riguarda Neverquest, un trojan in circolazione da quasi tre anni e utilizzato, in passato, dal famigerato Exploit Kit Neutrino.
Neverquest è derivato dal trojan Gozi, uno dei primi malware a prendere di mira i servizi di home banking. La nuova versione integra dei plugin che prevedono 266 regole per l’iniezione di codice in siti predefiniti.
In questo modo il trojan è in grado di “aggiungere” alle pagine Web campi aggiuntivi che gli permettono di rubare le credenziali di accesso.
Non solo: secondo i ricercatori di Arbor, che hanno analizzato il codice del trojan, gli autori del malware hanno anche ampliato il loro campo d’azione.
Oltre ai semplici servizi bancari, infatti, Neverquest 2 punterebbe anche a compromettere gli account legati ai servizi che commercializzano Bitcoin, ma anche servizi di contabilità, agenzie governative e database pubblici.
Sotto il profilo delle funzionalità, la nuova versione del trojan prevede una serie di moduli che consentono di differenziarne l’attività, attraverso un sistema di controllo remoto che permette ai cyber-criminali di registrare filmati dalla webcam del computer compromesso, accedere alla cronologia di navigazione del browser ed eseguire codice sul PC.
Un particolare modulo, inoltre, consente ai pirati informatici di eseguire una scansione sulla macchina infetta per individuare e rubare certificati digitali e coppie di chiavi crittografiche eventualmente memorizzate sul sistema.
L’obiettivo principale di Neverquest, però, rimane il furto delle credenziali di accesso ai servizi online di home banking ed e-commerce. Una strategia che, nel 2014, ha permesso a un gruppo di cyber-criminali di utilizzare il trojan per rubare più di 1,5 milioni di dollari attraverso false transazioni sul portale di acquisto di biglietti online StubHub.
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