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Feb 10, 2017 Marco Schiaffino Approfondimenti, In evidenza, RSS, Scenario 0
Un paese poco “interessante” sotto il profilo tecnologico e, in buona sostanza, ancora arretrato. È questo il ritratto che viene fatto comunemente del nostro paese.
Ma com’è lo stato dell’Italia sotto il profilo della sicurezza? Alessandro Livrea, regional manager per l’Italia di Akamai non ha molti dubbi: le priorità nel nostro paese non sono diverse da quelle del resto del mondo.
“I rischi legati alla sicurezza per le aziende italiane sono esattamente quelli con cui devono fare i conti le imprese nel resto del mondo” puntualizza Livrea. “Il problema piuttosto è che le nostre aziende non devono cedere alla tentazione di pensare di essere protette dal fatto di essere considerate marginali nello scacchiere internazionale. È un errore”.
Insomma: il vero rischio è che il mantra che vorrebbe relegare l’Italia a un ruolo di terz’ordine nel panorama internazionale induca gli stessi operatori a pensare che i cyber-criminali non abbiano interesse ad attaccare le aziende nostrane.
Un meccanismo che Livrea ha notato per esempio nella sistematica sottovalutazione del rischio legato agli attacchi DDoS. In questo ambito, infatti, molte aziende italiane si sono cullate nell’illusione di essere “poco interessanti” e quindi relativamente al sicuro. Sbagliando.
“Lo scorso giugno abbiamo registrato il più grande attacco di sempre (365 Gbps) nei confronti di un’azienda italiana” conferma Livrea. “Nei nostri report abbiamo rilevato un aumento del 71% degli attacchi da un trimestre all’altro e gli attacchi di grandi dimensioni (superiori ai 100 Gbps – ndr) sono cresciuti del 138%”.

Il monitoraggio delle attività a livello globale è uno strumento che permette anche di collocare nella giusta prospettiva le dinamiche locali. L’Italia, in questa ottica, non è diversa dal resto del mondo.
Numeri da brivido, considerato anche che attacchi di queste dimensioni sono in grado di mettere in crisi anche un provider di medie dimensioni.
Insomma: le aziende italiane non possono sperare di fare parte di una “zona grigia” in cui i rischi siano minori di quelli che corrono le imprese che agiscono in paesi come gli Stati Uniti o il resto dell’Europa.
E non si tratta di attacchi casuali. “Abbiamo registrato una media di 30 attacchi sullo stesso target” sottolinea Alessandro Livrea. “In un caso limite, però, si è arrivati a 427 attacchi consecutivi”.
Quello degli attacchi DDoS, però, è solo un esempio. La frequenza degli attacchi è simile al resto del mondo anche per quanto riguarda altre tipologie, come gli SQL Injection e quelli che prendono di mira gli applicativi Web.
Il fatto che in Italia ci sia una prevalenza di piccole medie imprese, inoltre, non è un elemento mitigatore degli attacchi.
“Il movente dei cyber-criminali è sempre quello di trarre un profitto economico e qualsiasi impresa è un possibile obiettivo. Le dimensioni, almeno nell’ottica dei pirati informatici, non sono un discrimine. Anzi: spesso puntano ai soggetti che hanno dimensioni minori proprio perché possono essere più facilmente colpiti”.
Una logica spietata, ma corretta. Che come fa notare lo stesso Livrea, è stata al centro di un allarme lanciato dal presidente della Federal Reserve per quanto riguarda la sicurezza nel circuito bancario.
“I soggetti più piccoli rischiano di essere impreparati nel far fronte alle minacce proprio per questioni strutturali” spiega Livrea. “Spesso, per esempio, non hanno la consapevolezza del fatto che la gestione della sicurezza non può essere affrontata senza rivolgersi a professionisti e cercano di fare tutto in casa”.
Non solo: ci sono anche altri aspetti in cui le piccole imprese faticano a tenere il passo con le norme di comportamento che garantiscono la sicurezza dei sistemi. Ad esempio nella gestione dell’accesso ai dati tramite dispositivi personali, che a livello enterprise è di solito regolamentata da policy specifiche, ma nelle PMI finisce per essere trascurate e rappresenta una potenziale superficie di attacco.
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