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Gen 04, 2017 Marco Schiaffino Attacchi, News, RSS 0
In tempi di cyber warfare, il clima di paranoia diventa palpabile. Capita così che una “normale” infezione sul computer di un tecnico venga scambiata per un attacco hacker a una centrale elettrica.
È accaduto lo scorso 31 dicembre in Vermont, dove l’allarme è scattato quando gli amministratori di sistema della Burlington Electric hanno rilevato la presenza di un malware che ha immediatamente fatto pensare che ignoti hacker avessero violato i sistemi per la gestione della fornitura dell’energia elettrica.
Apriti cielo: alle dichiarazioni della polizia sono immediatamente seguite quelle dei politici, a partire dal governatore del Vermont Peter Shumlin, che chiedevano a gran voce l’intervento delle autorità federali per contrastare il cyber-attacco delle cyber-armate di Putin.
La possibilità che qualcuno potesse violare i sistemi che gestiscono la distribuzione dell’energia elettrica ha messo immediatamente in fibrillazione l’opinione pubblica americana.
La notizia, lanciata dal Washington Post, è stata ridimensionata dopo poche ore, quando i tecnici incaricati di indagare sull’attacco hanno specificato che i pirati non avevano violato i sistemi di gestione dell’infrastruttura ma solo un computer “esterno”, che non consentiva di modificare il funzionamento della centrale.
In verità si può dire che polizia, politici e commentatori hanno preso un granchio colossale. Perché la vicenda non ha nemmeno la dignità di un “attacco andato male”.
Il traffico anomalo rilevato dai tecnici della Burlington Electric, infatti, proveniva da un laptop di un dipendente che era stato vittima, come milioni di altri, del rootkit Neutrino.
Nessun elaborato attacco da parte di hacker collegati ai servizi segreti russi, quindi, ma un semplice inconveniente in cui casualmente è incappato un dipendente di una centrale elettrica.
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