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Set 27, 2016 Marco Schiaffino Attacchi, Malware, News, RSS 0
I circuiti di file sharing sono sempre stati uno strumento per la diffusione del malware. Si trattava però di una forma di contaminazione tutto sommato artigianale, eseguita a mano da singoli cyber-criminali. Secondo i ricercatori di InforArmor, invece, ora il metodo sembra essere stato automatizzato per renderlo più efficace.
Lo strumento utilizzato si chiama RAUM. Stando a quanto riportato dagli analisti, i cyber-criminali hanno messo in piedi un vero eco-sistema per la diffusione di malware che si basa sul modello “Pay Per Install”. In pratica, attorno al gruppo è stato creato un network di affiliati che guadagnano una somma di denaro per ogni infezione andata a “buon fine”.
Il sistema di affiliazione usa un sistema “blindato” per evitare infiltrati: i nuovi membri del network, infatti, devono essere presentati da qualcuno che fa già parte del “giro”.
Gli appartenenti al circuito possono contare su un sistema di monitoraggio che segnala quali sono i file più diffusi e ricercati dagli utenti sui circuiti Torrent, che vengono utilizzati per diffondere principalmente ransomware, come CryptXXX, CTB-Locker e Cerber, ma anche trojan come Dridex o spyware come Pony.
La tecnica prevede la creazione di file che hanno lo stesso nome di quelli più ricercati sul Web e un sistema che consente ai pirati di mettere a disposizione del circuito P2P i tracker (i file che consentono il download dei file su Torrent n.d.r) che vengono diffusi utilizzando account compromessi su noti siti che consentono la ricerca e il download dei Torrent, come The Pirate Bay, ExtraTorrent e altri.
I pirati usano account compromessi per pubblicare sui siti P2P più popolari i link ai file infetti.
In altri casi, il gruppo utilizza tecniche di search engine poisoning per dirottare verso il download dei loro tracker anche gli utenti che non passano da siti specializzati ma utilizzano i normali motori di ricerca.
Stando a quanto ricostruito dagli analisti di InfoArmor, in una prima fase i pirati hanno sfruttato uTorrent per diffondere i file infetti, ma in una seconda fase hanno cominciato a utilizzare un network composto da server virtuali e alcuni server compromessi di cui hanno acquisito il controllo.
Un sistema che ha aumentato esponenzialmente la quantità di malware in circolazione sul circuito. Stando alle statistiche citate nella ricerca, infatti, la distribuzione via P2P di malware è arrivata a colpire 12 milioni di utenti al mese.
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